Beata oscenità
"La gravità senza peso...quella speciale connessione tra melanconia e umorismo."
(Italo Calvino, Lezioni americane)
Beata Oscenità è dedicato all’incredibile vita di Giò di Panico, notissimo personaggio del dopoguerra. Nipote del gerarca fascista Achille Starace, quello della “mens sana in corpore sano”, quello dell’esaltazione della virilità, Gioacchino «Giò» Stajano Starace, conte Briganti di Panico, fu tra i primi omosessuali dichiarati e uno dei primi uomini italiani a diventare donna.
Ma Giò è stato anche attore, giornalista, scrittore, opinionista, modello, attore hard, ispirazione per registi quali Federico Fellini, Steno, Dino Risi (si dice che fu proprio Giò a fare il bagno notturno in una fontana di Roma), divo di riviste erotiche e pornografiche e infine, e qui davvero restiamo attoniti (!), suora laica presso le monache di Betania del Sacro Cuore.
Una vita che è un inno alla libertà di pensiero, un inno all'autodeterminazione, al coraggio di mostrarsi per quello che si è e si desidera essere, uno sfida lanciata al mondo e alla società con l'ironia tagliente tipica delle persone intelligenti.
«Il monologo scorre come un flusso di ricordi, visioni e suoni e immagini; ed è "leggero", di quella leggerezza che Calvino amava e riconosceva solo ai grandi come Shakespeare: la gravità senza peso... è forse questa la grazia nella scrittura? Ridi e piangi, leggendo questo testo, inseguendo le peripezie di quell'uomo così diverso e per questo così umano che è Giò» riflette Serena Sinigaglia che dirige lo spettacolo «I moti profondi dell'anima si accompagnano senza stonature a visioni semplici, emotive, concrete. E sullo sfondo scorre la storia, la nostra storia […]. Ho trovato questo testo tremendamente affascinante e sono felice di portarlo in scena con l'attore giusto: Gianluca Ferrato» conclude Sinigaglia.
Come scrive Gianluca Ferrato, interprete dello spettacolo «Beata oscenità è il secondo capitolo di una ideale trilogia che mette al centro della vicenda una "diversità". Cominciata con Truman Capote questa cosa chiamata amore e proseguita proprio con "Beata oscenità", si sarebbe dovuta concludere con la bruciante vicenda legata al poeta della canzone Umberto Bindi. L'aveva pensata così Massimo Sgorbani, come tre storie di altrettante scomodità. […]. Ma poi ci ha messo lo zampino la vita che, all'improvviso, si è portata via Massimo Sgorbani che di questi capolavori ne è l'autore. Non ha voluto sentire ragioni la vita, forse perché "muore giovane chi è caro al cielo". A noi il compito di onorare e ornare la magnificenza di Sgorbani che si rivela, anche, nella sua scrittura di una bellezza da togliere il fiato».
di Massimo Sgorbani
con Gianluca Ferrato
regia Serena Sinigaglia
scene Andrea Belli
luci e suono Roberta Faiolo
costumi Valeria Bettella
produzione Teatro Stabile di Bolzano